La Chiesa di San Bernardino

All’inizio del XV secolo le popolazioni di Caravaggio e Treviglio erano ancora grandi nemiche. I contrasti erano nati anni prima per diverse cause, la prima delle quali era il fatto che ambedue erano potenti borghi della Gera d’Adda e dunque in concorrenza. A complicare le cose sorsero questioni di confine fra i due territori e il diniego di Treviglio di utilizzo delle acque per l’irrigazione dei campi dei caravaggini che possedevano terreni sul territorio trevigliese. Si arrivò persino al punto di scavare un fossato per dividere i due comuni.

Liti, omicidi, incidenti, vendette non avevano fine. Bernardino, un frate dell’Ordine dei Minori che girava l’Italia predicando amore e concordia, arrivò nei primi giorni di novembre del 1419 e la sua oratoria, qui come in molti altri luoghi, ebbe successo. In quegli anni nacquero in Lombardia molti conventi dei Minori.

Anche Treviglio e Caravaggio, per tener viva la memoria del Santo predicatore, vollero erigerne uno: Treviglio lo costruì per prima col nome di Santa Maria Annunziata, Caravaggio lo fece alcuni anni dopo, nel 1472, quando San Bernardino era morto ormai da vent’anni. Fu la famiglia Secco a donare il terreno per l’edificazione che terminò nel 1488. La chiesa fu consacrata l’otto aprile dell’anno successivo.

La Storia

Anche se Caravaggio faceva parte della Diocesi di Cremona, il convento fu dato agli Osservanti della Provincia di Milano, un movimento riformatore dell’Ordine dei Minori. Gli Osservanti restarono a Caravaggio fino al 1543, anno della cessione ai Riformati. Sopravvissuto alle soppressioni del governo austriaco, ‘San Bernardino’ non resistette a quello francese che lo dichiarò soppresso il 16 giugno 1798 invitando i religiosi a trasferirsi a Crema. Il governo francese vendette ortaglia e convento ad un privato. Seguirono due passaggi di mano, poi, a seguito delle ripetute petizioni della comunità che invocava il ritorno dei religiosi, i frati ritornarono, ma per pochi anni. L’11 maggio del 1810 avvenne la definitiva soppressione. La proprietà passò all’Ospedale Civile che decise di affittarlo: la parte del convento diventò casa colonica e la foresteria, ampliata, fu destinata a caserma. Mentre il Monastero subì diverse trasformazioni, la chiesa, essendo sempre stata aperta al culto, conservò il proprio aspetto originale. Dopo la Seconda guerra mondiale i contadini se ne andarono poco alla volta. Il chiostro e il terreno di ‘San Bernardino’ furono comprati dal Comune nel 1970 mentre nel 1978 l’Ospedale donò al Comune stesso la chiesa. Nel 1973 il sapiente restauro dell’architetto Sandro Angelini di Bergamo lo consegnò alla comunità “per l’esercizio della cultura e dell’arte”.

Situata sul lato di tramontana del complesso monastico è orientata da ponente a levante. La facciata ha la struttura tipica gotico-lombarda; sopra il rosone è inserita una terracotta con il simbolo bernardiniano; sopra l’architrave della porta si trova una lunetta affrescata con una scena della Natività, di fattura cinquecentesca, con l’aspetto originale alterato da ritocchi pittorici recenti, attribuita dal Tirloni (critico d’arte caravaggino, vivente) a Fermo Stella, un pittore caravaggino del ‘500. Un portichetto, sorretto da colonne in pietra, copre l’ingresso; inserito più tardi (forse nel Seicento, opera dei Riformati) non ne disturba l’insieme.

La chiesa all’interno si presenta divisa in due parti: quella ad occidente destinata ai fedeli, l’altra ai monaci. La parte dedicata ai fedeli è ad una sola navata, con tre cappelle poligonali a sinistra e un soffitto a cassettoni, e termina con una parete che la separa dall’altra parte. Dopo questo muro sono inserite due cappelle e un passaggio alla parte dedicata al clero. L’interno della chiesa era in origine spoglio, come dettava la ferrea regola dell’Ordine. Pur arricchita di lavori artistici, la chiesa di quella austerità conserva ancora i pavimenti in cotto e? l’assenza del marmo. La decorazione della chiesa.

Dopo l’ingresso, a sinistra, troviamo la cappella dedicata alla Madonna. È di forma poligonale, con volta a crociera gotica. Sulle pareti laterali sono rappresentate alcune scene del ciclo mariano: a destra l’Ascensione, la Pentecoste e l’Assunzione; a sinistra la Natività, l’Epifania e il Cristo Risorto. Difficile l’attribuzione e la datazione: si parla di fine Quattrocento per il periodo, di Zenale e Buttinone, due famosi pittori trevigliesi del Cinquecento, per gli autori. La stessa incertezza vale per gli affreschi della volta; i sei compartimenti formati dai costoloni sono affrescati con tondi raffiguranti Santi Francescani: Raimondo, Bonaventura, Antonio da Padova, Francesco, Ludovico, Bernardino, Chiara, Bernardo, Bartolomeo da Cremona. A questi si aggiungono gli otto martiri affrescati sotto l’arco d’entrata. Davanti alla parete frontale l’altare con la pala dell’Immacolata, anch’essa di autore ignoto.

Sul muro fra la prima e la seconda cappella c’è uno dei più bei affreschi della chiesa. Raffigura la Madonna fra San Bernardino (alla sua destra) e San Rocco. Sotto il dipinto si conserva una fascia che reca una scritta a rebus che ci permette di individuare autore e data: Fermo Stella, 1500. Vi sono rappresentati infatti un ferro di cavallo (fer), un topo (mus), una stella e 15’c’ per la data.

La seconda cappella, dedicata inizialmente a San Bartolomeo, ospita oggi l’altare di Sant’ Antonio da Padova. Sulla volta (strutturata come quella della prima) sono raffigurati i quattro Evangelisti. L’attribuzione non è facile; l’opera è cinquecentesca. Nella parte superiore di ogni parete laterale sono dipinti due Angeli; l’opera è del pittore caravaggino Ferruccio Baruffi (1889-1958). Al contrario della prima, questa cappella ha subìto diversi rimaneggiamenti perdendo il suo carattere unitario.

Sulla parete tra la seconda e la terza cappella c’è un altro affresco: San Francesco in gloria. L’opera non è firmata ma è attribuita dal Tirloni a Nicola Moietta, pittore caravaggino del Cinquecento.

La terza cappella, dedicata a San Francesco, è quella che più di tutte ha subito trasformazioni nel corso del tempo. Delle decorazioni primitive non rimane traccia. Le scene della vita di San Francesco sono del pittore trevigliese Trento Longaretti (vivente) che realizzò gli affreschi nel 1944; rovinati da infiltrazioni lo stesso pittore fu incaricato del loro distacco e restauro iniziato in concomitanza con il recupero del convento.

Sul muro frontale che divide le due zone della chiesa si trova il grande Ciclo della Passione. L’opera reca la data del 1531, due volte: nel sepolcro di Cristo Risorto e in una targa al centro, sotto la crocifissione.

Il dipinto, per molto tempo attribuito a Francesco Prata (pittore caravaggino del ‘500), è consegnato dal Tirloni allo Stella, contemporaneo del Prata.

È un’opera magnifica: la Crocifissione, al centro, domina l’intero spazio della navata. Accanto le quattro scene della passione: L’ultima cena, Gesù davanti a Pilato, l’Arresto e la Resurrezione. Nelle pareti laterali otto sibille chiudono la scena; sotto, fra arco e arco, si vedono otto tondi con profeti. E la città sullo sfondo? Caravaggio, per alcuni, Bergamo per altri.

Sui pilastri del tramezzo ci sono, a sinistra un Ecce Homo (attribuito a Nicola Moietta), a destra una Madonna, totalmente ridipinta forse dal Baruffi, l’autore degli angeli della seconda cappella.

Nove ovali, di fattura settecentesca, di autore ignoto, raffiguranti una serie di scene sulla vita

e i miracoli di San Antonio (?), sono appesi alle pareti.

Dopo il muro divisorio si trovano, oltre al passaggio al Presbiterio, altre due cappellette. In quella di sinistra non rimane alcun segno delle decorazioni originarie. Oggi l’altare, che doveva essere forse dedicato ad un Santo, è dedicato al Crocefisso.

La cappella di destra invece conserva ancora la decorazione primitiva. Nella parete frontale c’è l’affresco cinquecentesco della Madonna con Bambino tra i santi Bernardino e Bonaventura, con devoto; l’opera è attribuita al pittore caravaggino Cristoforo Ferrari de’ Giuchis. Davanti alla cappella c’è un sepolcro con i resti dei frati morti in convento. Altri furono seppelliti lungo il perimetro della chiesa.

Il breve corridoio tra le ultime due cappelle ci porta al Presbiterio che in origine doveva essere diverso da come lo vediamo ora. Non è improbabile che questa zona possedesse sulla sinistra una cappella oggi chiusa dal muro che sostiene la volta. Tre gradini portano all’altare che si trova in centro, è di legno di noce ed ha motivi decorativi barocchi del ‘700. Due porte di legno chiudono lo spazio del coro.

La decorazione dell’arco e dell’abside è dei fratelli Galliari che la eseguirono nel 1759. Due tondi raffigurano sulla destra Sant’Anna con Maria Bambina, a sinistra San Giuseppe con Gesù Bambino. Sul fondo la pala d’altare che raffigura San Bernardino che rifiuta la tiara che simboleggia la dignità episcopale.

A destra della facciata della chiesa si trova l’ingresso al convento che dell’accesso originario conserva solo un piccolo portichetto e la parete che lo sostiene. Qui sorge in effetti l’edificio moderno che accoglieva prima l’abitazione del custode ed ora gli uffici del Corpo di Polizia Municipale. Appena dentro, sempre sulla destra, si apre un piccolo cortiletto che ci ricorda la struttura di una casa colonica: qui forse era la foresteria del convento, il corpo di fabbrica che delimitava il passaggio al recinto di clausura. Seguendo il corridoio si arriva al chiostro, rettangolare, delimitato su due lati da edifici a due piani e su quello a sud a un piano. In origine erano forse due i chiostri: i segni della separazione (la cui parete divisoria non doveva comunque chiudere tutto l’edificio: sopra c’è affrescata una meridiana che doveva essere visibile da entrambi) possono essere visti nel lato est fra la quinta e la sesta arcata.

I chiostri, che inizialmente erano totalmente spogli, col passare del tempo si abbellirono di affreschi. Alcuni di questi si possono ancora intravedere, altri sono scomparsi, come forse le meridiane che segnavano le ore diurne.

Quella rimasta (citata prima) ha in effetti la particolarità di segnare le ore notturne (20-24) e funziona solo con la luce lunare.

Sul lato est due porte consentivano l’accesso al refettorio (oggi Auditorium), la sala più grande del convento. Il locale conserva ancora il soffitto originale con la volta a sesto acuto e il monogramma simbolo di San Bernardino, probabile opera settecentesca. Nella sala accanto doveva esserci la cucina. Al piano superiore di questo corpo si accede dalla scala adiacente alla chiesa. Qui erano le celle (sufficienti sembra per venti frati); il restauro ne demolì alcune lasciandone altre che hanno mantenuto la loro struttura primitiva. Per quanto riguarda il lato sud e il corpo a ponente, sono zone che hanno subìto notevoli trasformazioni. Qui dovevano trovarsi altre stanze, quali una libreria, una sartoria, e altri locali ancora utili forse ai pellegrini o ai frati di passaggio.

DOVE: Viale Giovanni XXIII Caravaggio BG

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