Alimentazione contadina nella Belle Époque: polenta e ancora mais

Alimentazione contadina nella Belle Époque: polenta e ancora mais

Sono diverse le scene de L’albero degli zoccoli in cui si vede una famiglia riunita intorno alla tavola. Un dettaglio di queste non passa inosservato: per quanto cambino le famiglie e i periodi dell’anno, il desinare rimane sempre lo stesso: polenta e latte o minestra.
La rigorosa ricostruzione storica di Olmi si estende anche al cibo: ci troviamo infatti di fronte a un saggio dell’alimentazione contadina così com’era nel nord Italia a fine Ottocento. Una dieta poco varia e squilibrata, centrata sul mais e altri cereali poveri: il frumento, considerato più prezioso e nutriente era raro per loro, e il pane di frumento riservato alle occasioni speciali: non per nulla dopo il parto, le donne consigliano a Batistì di far mangiare alla moglie del pane bianco perché recuperi le forze. E la donna lo dà invece a Menek dicendogli: «Fai festa anche tu». Il pane dei poveri era il pane nero, una mistura di grano, orzo, mais, segale e avena, che veniva conservato per mesi. Sua sostituta era appunto la polenta, elemento principe delle tavole contadine, proprio per questo molto densa; solo negli strati più alti della società e nelle aree più ricche la si faceva più morbida e liquida, impiegandola come contorno. Nel film la vediamo immersa nel latte, una delle – poche – fonti di proteine su cui i contadini potevano contare: emblematica dell’importanza che aveva anche questo alimento è la disperazione della vedova Runk quando il veterinario le comunica la malattia della mucca della famiglia.

Per il resto, indagini rivelano che nel decennio 1881-1890 (dunque non molto tempo prima degli anni in cui è ambientato il film) un italiano consumava in media solo 17 kg di carne –nelle campagne riservata alle festività – e pochissimo pesce, oltre a una discreta quantità di uova, latticini e olio: questi prodotti però erano di gran lunga più reperibili nei distretti urbani che non nelle campagne, da dove pure giungevano. Una situazione drammatica, soprattutto se si pensa che la crescente industrializzazione aveva dato vita in quel secolo ai primi cibi in scatola come l’estratto di carne, il latte in polvere, le tavolette di cioccolato.
Una così marcata precarietà alimentare, protratta spesso nel corso dell’intera vita, aveva inevitabilmente ripercussioni gravi sul fisico: uno su tutti la pellagra. Nel XVIII e nel XIX secolo l’Italia fu uno dei Paesi più flagellati da questa malattia, soprattutto nelle zone rurali di Veneto, Friuli, Piemonte, Lombardia e Marche.