LUIGI CAGNOLA DI PASSAGGIO

Luigi Cagnola nacque a Milano il 9 giugno 1764, architetto, fu uno dei maggiori rappresentanti del gusto neoclassico a Milano. Ammesso a quattordici anni al Collegio Clementino di Roma, completò gli studi universitari all’Università di Pavia. 

Inizialmente avviato alla professione legale, ottenne un posto nell’Amministrazione austriaca a Milano. Avviato dalla famiglia alla carriera diplomatica, entrò nell’amministrazione austriaca e fu assegnato, per le sue qualità di disegnatore. I suoi interessi però erano volti soprattutto all’architettura, nella quale si volle pur sempre considerare un “dilettante”, in pochi anni produsse molti progetti di fantasia tra i quali due chiese, rispettivamente a una e a tre navate, una chiesa a pianta centrale, diversi casini di caccia e un padiglione per giardino a pianta triangolare che suscitò una certa eco nell’ambiente milanese. 

Spinto dalla passione per l’architettura, presentò una proposta per la progettazione della nuova Porta Orientale di Milano. La proposta venne scartata, anche in ragione degli eccessivi costi che avrebbe comportato, ma da quel momento Cagnola si dedicò interamente all’architettura.

La posizione di nobile e di “dilettante” architetto favorito dal regime gli permise di svolgere un ruolo particolare e specifico nell’architettura milanese del neoclassicismo: scegliendo gli incarichi non oppresso da necessità di lavoro, poté dedicarsi solo ad opere significative, che hanno di fatto inciso nel tessuto di Milano come veri “distintivi urbani”.  

Altre opere attribuite al Cagnola presenti nel della media pianura lombarda sono: risalente a prima del 1805 a Fara Gera d’Adda la facciata della parrocchiale di S. Alessandro in stile “settecentesco” e forse tutta la chiesa, del 1823 a Verdello la cappella funeraria Gambarini.

Morì di apoplessia a Inverigo il 14 agosto 1833.

La sua attività, nell’ambito del neoclassicismo milanese del secondo periodo, è stata straordinariamente feconda e innovativa per la formazione romana e veneta, che gli permise di innestare nella tradizione locale gli insegnamenti di Vitruvio e Palladio, non disgiunti peraltro da riferimenti al “razionalismo” francese. 

La complessità del suo stile si unifica nella costante aspirazione al “monumento” urbano in senso classico, raggiungendo straordinari vertici espressivi soprattutto nell’arco di porta Ticinese e nelle ultime opere (campanile di Urgnano, chiesa di Ghisalba): in esse la ricerca di effetti volumetrici e plastici lo portò anche a particolari tecniche di trattamento delle superfici, come la stuccatura levigata dei corpi cilindrici e le semplificazioni in senso geometrico e antidecorativo di elementi costruttivi classici.