PROCESSO ALLE STREGHE DELLA MARTESANA

Le streghe sono figure affascinanti e misteriose, la cui origine risale ai tempi antichi, al culto della Grande Madre, e trova tracce nella tradizione ebraica, celtica e sciamana, ma anche nel mondo greco (che esaltava la fertilità femminile nelle dee Demetra, Venere ed Ecate e ci ha lasciato famose descrizioni di maghe), nonché in quello romano (l’etimologia del termine pare infatti derivare dalla parola latina “stryx”, che significa uccello notturno, ricordando come in origine le streghe fossero vestali in grado di levarsi in volo, trasformare se stesse e altri in animali e porsi in relazione con la Natura e l’Aldilà).

Nel corso del Medioevo, la Chiesa condannò il culto della Grande Madre, assimilandolo a un rito demoniaco. Ma fu tra il XV e XVI secolo, dopo il concilio di Trento, che l’opposizione della Chiesa si trasformò in una vera e propria caccia alle streghe.

Proprio in questo periodo si colloca anche il processo alle “streghe” della Martesana: Leonarda, Petrina, Vanina, Caterina e Cossina, di Pontirolo, Groppello e Inzago.

Pare che tali donne tacciate di stregoneria si incontrassero tra Groppello ed Inzago, nello scomparso bosco Tuneda, soprattutto la notte di S. Giovanni (24 giugno) quando, secondo la leggenda, avveniva il passaggio di poteri tra Bene e Male.

Anche questo territorio, quindi, non fu immune da episodi di isterismo e da tragici processi conclusi, purtroppo, con i vergognosi roghi di povere donne che gridano ancor oggi vendetta al cielo. Uno di essi si tenne il 5 gennaio del 1520 in quel di Cassano d’Adda.

Donne spaventate, donne madri, improvvisamente sole, abbandonate, bruciate perché facevano del male disse l’inquisitore domenicano Gioacchino. Infine, martiri innocenti, due di esse furono bruciate sulla riva dell’Adda, un mese dopo la terza fu arsa viva in piazza.

La Cossina subì una “verberazione”, cioè una fustigazione, in chiesa e successivamente fu esorcizzata per debellare il maligno. Durante il processo emersero altri fatti incresciosi e il numero delle streghe salì. Anche Stefanina, “Venturina, Maria Lovessa, detta Lupa, e Caterina, vennero imprigionate.

Stavano già per aprire un secondo processo quando la Curia di Cremona avocò a sé il diritto di giudicare, e in fretta e furia ringraziarono lo zelante domenicano e lo rispedirono a casa sua.

Il 5 gennaio del 1520 arrivano in visita pastorale a Cassano d’Adda, il Vicario Generale mons. Cosma Fava e il Vescovo di Cremona, monsignor Girolamo Trevisan.

Oltre alla visita pastorale per appurare il buon andamento della parrocchia, entrambi presiederanno l’intricato processo.

Durante il processo verranno interrogati anche i curati che testimonieranno che la religiosità dei cassanesi è al di sopra di ogni sospetto, mentre noi sosteniamo che, se così fosse non emergerebbero episodi di ritorno al paganesimo. E non solo a Cassano d’Adda.

Tra il 1500 e il 1600, su tutto il territorio nazionale si assiste a una spietata caccia alle streghe, terminata, forse per un caso fortuito. un giurista e governatore di Roma nel 1618, Giulio Monterenzi, redige le “Instructio” cioè istruzioni per come affrontare i processi di stregoneria, e non andarci giù duro come negli anni precedenti.

La Chiesa adotta subito questo libello per cercare di tamponare episodi sanguinosissimi di caccia alle streghe, ma il via purtroppo l’ha dato proprio il papa Innocenzo VIII, ed ora è davvero difficile fermare un esercito di preti sanguinari e maniaci.

Si sono accorti che hanno passato il segno, ma ci vorranno anni prima che l’intera Europa si adegui all’inversione di marcia nel tentativo di ricondurre alla ragione la classe sacerdotale, in particolar modo gli inquisitori domenicani.

Ma torniamo alle nostre povere presunte streghe.

Cosa facevano di così terribile? Secondo il clero, perpetravano sortilegi per far morire, per far innamorare, per conoscere segreti e infine ovviamente, per fare patti col diavolo. Il processo inizia il 5 gennaio e finisce il giorno 18. Vengono interrogate autorità civili e religiose.

Il notaio del precedente processo, un tale Cristiani, non poteva che chiamarsi così, ora è cancelliere e racconta: nel luogo detto Tuneda, in confine tra Groppello, Inzago e Cassano la Maria e la Venturina furono trovate a mangiare coi demoni “de cerasis et insalata”.

Tra le campagne tra Treviglio e Fara, la notte, ballavano di notte coi diavoli, calpestavano coi piedi e col sedere la croce, buttavano in luoghi immondi l’eucaristia, ai cani o alle galline o alle oche uccidevano i bambini strangolandoli, ne bevevano il sangue e ne succhiavano il cervello.

Accuse pesantissime, testimoniano il Podestà di Cassano e i due Consoli. Nel parapiglia viene coinvolto anche un prete e accusato anch’egli di stregoneria, Don Bartolomeo. Come in una grottesca commedia emergono figure di donne che si accusano di adulterio.

Risse finite con la morte di due persone. Insomma, durante il processo emergono ben altri fatti e altre colpe che la stregoneria.

Ma i vicari di Cristo riportano sulla retta via l’indisciplinato paese e i suoi focosi abitanti. Siamo sì o no qui per giudicare delle donne accusate di stregoneria? E allora lasciamo stare il resto!!

Le testimonianze continuano riportando fatti orripilanti, riti e cerimonie, accoppiamenti e ammazzamenti.

Tutti sono affascinati e “stregati” dai racconti dei potenziali criminali, e in questo contesto non si riesce a capire se siano più superstiziose le streghe, il popolo ghiotto di nefandezze o gli inquisitori che assistono senza perdersi una parola.

Le streghe, nelle gabbie legate e pronte per il supplizio, pregano la Madonna e chiedono perdono. Qualcuno assicura che “sono molto rispettose nel linguaggio verso gli stessi accusatori e che qualcuna di loro parla anche italiano”.

Dopo 156 giorni di carcere molte donne furono liberate, ma la cosa strana è che negli annali conservati alla Curia di Cremona, guarda caso, sono state strappate le pagine che vanno dalla 160 alla 201 dell’anno del Signore 1520.

Del processo alle streghe non v’è più traccia. Le streghe non sono mai esistite.